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“Maronna d’‘o Carmine, ma chillo è isso, chillo è Totò, è vivo!”

04 Ottobre 2025 Author :  

“Amico mio,
questo non è un monologo ,ma un dialogo perché sono certo che mi senti e mi rispondi. La tua voce è nel mio cuore, nel cuore di questa Napoli che è venuta a salutarti, a dirti grazie perché l'hai onorata. Perché non l'hai dimenticata mai, perché sei riuscito dal palcoscenico della tua vita a scrollarle di dosso quella cappa di malinconia che l'avvolge. Tu, amico, hai fatto sorridere la tua città, sei stato grande, le hai dato la gioia, la felicità, l'allegria di un'ora, di un giorno, tutte cose di cui Napoli ha tanto bisogno. I tuoi napoletani,il tuo pubblico è qui. Ha voluto che il suo Totò facesse a Napoli l'ultimo esaurito della sua carriera e tu, tu maestro del buonumore, questa volta ci stai facendo piangere tutti. Addio Totò, addio amico mio. Napoli, questa tua Napoli affranta dal dolore vuole farti sapere che sei stato uno dei suoi figli migliori e non ti scorderà mai.
Addio amico mio, addio Totò”.
Queste sono le parole del bellissimo discorso che Nino Taranto, il grande attore napoletano, pronunciò a Napoli, al funerale di Totò, suo grande amico e affiatato compagno di lavoro. Insieme girarono 5 film (Totòtruffa 62, Totò contro Maciste, Lo smemorato di Collegno, Il monaco di Monza e Totò contro i 4). Totò morì a Roma, alle 3:35 del 15 aprile 1967, nella sua abitazione di via dei Monti Parioli 4. Aveva 69 anni. La sera prima aveva confidato al suo autista, Carlo Cafiero, di non sentirsi bene: “Cafiè, devo aver fatto una brutta indigestione, non ti nascondo che mi sento una vera schifezza”. Ma si sbagliava! Il suo malore non era provocato da un’indigestione ma da un brutto infarto, che gli fu fatale e gli procurò una lunga agonia. Prima di morire consegnò a suo cugino Eduardo Clemente, suo segretario e factotum, la somma di 120.000 lire. “Eduà” gli disse “questi soldi servono per il mio funerale, mi raccomando, voglio una cerimonia semplice”. Le sue ultime parole, rivolte ai familiari e al medico curante, furono:” Fatemi morire… portatemi a Napoli”.Due giorni prima dell’infarto aveva fatto in tempo a girare il primo ciak del suo ultimo film, ‘Il padre di famiglia’ di Nanni Loy, interpretando il personaggio dell’anarchico Remo, ruolo che, dopo la sua morte, fu affidato a Ugo Tognazzi. Ed era la scena di un funerale! Per rispetto, Nanni Loy la lasciò nel film. Invece di un solo funerale, semplice e modesto, come lui avrebbe voluto, Totò ne ebbe addirittura 3. La sua salma fu vegliata per due giorni dalle più grandi personalità del mondo dello spettacolo, fra cui gli attori Alberto Sordi, Olga Villi, Elsa Martinelli e i registi Luigi Zampa e Luciano Salce; alla cerimonia funebre parteciparono anche, ipocritamente, quei registi e quei critici che, quando lui era in vita, lo avevano sempre snobbato, considerandolo un guitto, un saltimbanco, un artista mediocre e volgare. «Il mio funerale sarà bello assai perché ci saranno parole, paroloni, elogi, mi scopriranno un grande attore: perché questo è un bellissimo Paese, in cui però, per venire riconosciuti in qualcosa, bisogna morire» disse una volta a Franca Faldini, la sua adorata compagna di vita, con cui visse felicemente per 15 anni. La cerimonia funebre romana fu celebrata a Roma il 17 aprile nella chiesa di Sant’Eugenio, in Viale delle Belle Arti. Doveva essere solo una benedizione, prima dei funerali di Napoli, ma fu un vero e proprio funerale a cui parteciparono centinaia di persone, fra personaggi del mondo dello spettacolo e non, venuti tutti per dare un ultimo saluto a un grande artista, tanto amato. Nel pomeriggio il feretro fu trasportato a Napoli in un furgone, scortato da circa 30 vetture. A causa della grande affluenza di persone che lo aspettavano, il furgone ci mise circa due per percorrere un tratto di 6 km, dal casello dell’autostrada alla Piazza del Carmine. Con grande affetto e rispetto i Napoletani aspettavano l’arrivo di Totò e dalle 16 alle 18.30 sospesero ogni attività, il traffico cittadino fu interrotto, le serrande dei negozi furono tutte abbassate, i portoni dei palazzi socchiusi e, ovunque, sui muri della città, furono affissi manifesti di lutto che ricordavano a tutta Napoli la scomparsa di Totò, il loro beniamino, il Principe della risata, l’orgoglio della città. La bara fu trasportata nella Basilica di Santa Maria del Carmine Maggiore, affollata di numerosi artisti e di gente comune. La Chiesa era così gremita che Franca Faldini e Liliana,la figlia di Totò, non riuscirono ad entrare. Fuori della Chiesa, ammassate tra la Piazza del Carmine e la Piazza del Mercato, c’erano circa 250.000 persone. Sulla bara era stata poggiata la popolare bombetta nera, che faceva parte del corredo artistico del grande attore. Nino Taranto, presente in Chiesa col fratello Carlo, Dolores Palumbo, Luisa Conte e Ugo D’Alessio, aveva organizzato il funerale napoletano di Totò e fu lui a tenere, in onore dell’amico e collega, un discorso funebre commosso e commovente. All’improvviso tra la folla assiepata fuori dalla Chiesa si sentì il grido acuto di una donna col fazzoletto nero in testa:” Maronna d’ ‘o Carmine, ma chillo è isso, chillo è Totò, e’vivo!” A questo grido ne seguirono altri: “Sì, ‘a signora ave ragione, è propeto isso”, “Eccolo là, guardate, è Totò, è resuscitato!” Ma chi era quell’uomo additato da tutti e identificato come Totò redivivo? Quell’uomo tanto somigliante a Totò era l’attore Dino Valdi (al secolo Osvaldo Natale) fedele e affezionata controfigura di Totò che, in quell’occasione, uscì dall’ombra e, intervistato da un giornalista del quotidiano ‘Il Mattino’, ottenne un momento di inaspettata popolarità, regalando ai lettori del giornale, attraverso il suo racconto e i suoi ricordi, una versione inedita della vita di Totò. Dopo la funzione funebre, per evitare l’inevitabile assalto della folla all’esterno della chiesa, le autorità furono costrette a far uscire la bara da una porta secondaria e poi, scortata dai motociclisti della polizia, il feretro venne trasferito nel quartiere di Poggioreale, al cimitero di Santa Maria del Pianto, dove erano sepolti altri artisti famosi come Enrico Caruso ed Eduardo Scarpetta e dove, nel 1951, Totò aveva fatto costruire una cappella che potesse ospitare, un giorno lontano, lui e i componenti della sua famiglia. Ad attendere l’arrivo della bara nel cimitero c’erano la compagna Franca Faldini, la figlia Liliana con il marito, suo cugino Eduardo Clemente e l’attore Mario Castellani, storica e celebre spalla di Totò. Totò fu sepolto nella tomba di famiglia accanto al padre Giuseppe, alla madre Anna, al piccolo Massenzio, il suo unico figlio maschio, nato nel 1954 e morto dopo pochi minuti e a Liliana Castagnola, la bellissima e sfortunata cantante morta suicida nel 1930, a soli 34 anni, innamorata di Totò ma da lui non ricambiata. “Dopo il funerale” raccontò Liliana De Curtis “si avvicinò a me un uomo tutto vestito di nero con un pacco in mano”, “Permettete, sono Luigi Campoluongo, voi non mi conoscete ma io ero un amico di vostro padre”. “Mi ricordai che papà, in passato, mi aveva parlato di questo signore, che era il capo guappo del quartiere, detto nase ‘e cane (gli avevano dato questo soprannome perché un giorno, durante una lite, Martino ‘u Camparo, un altro guappo, gli aveva mangiato il naso n.d.r), un guappo di tutto rispetto, come si usava allora, uno di quelli che proteggevano il quartiere e vi mantenevano l’ordine. Aprì il pacco che aveva in mano e tirò fuori una foto che papà gli aveva dedicato moltissimi anni prima, quando era appena esordiente. “Io e papà vostro ci rispettavamo e ci volevamo bene” mi disse “questa cosa nun po’ fernì accussì…’o Principe addà turnà cca’, a Sanità, a casa soia”. “Ma papà è stato già tumulato nella cappella di famiglia!”gli risposi “Nun ve preoccupate, ci penso io, facimmo ‘nu bellu funerale, degno di vostro padre ‘cu ‘na bara vacanta, nun è importante ca dint’ ‘o tavuto papà vuoste nun ce sta. Appena tutto è pronto vi spedisco l’invito e vi mando a prendere a Roma con l’automobile. Potete stare tranquilla, penso a tutto io, siete sotto la mia protezione”. Poi, don Luigi, telefonò a Nino Taranto per metterlo al corrente del funerale che intendeva organizzare alla Sanità per Totò. Al telefono, Nino Taranto, distrutto dal dolore, gli disse:”Don Luì, nun ve pigliate collera ma chesta cosa è compito mio! Sente c’aggia fa accussì”. Il 22 maggio, giorno del funerale, don Luigi mandò a prendere Liliana a Roma, la portò a Napoli, nel rione Sanità, e la lasciò davanti alla chiesa di Santa Maria della Carità, che gli abitanti del posto chiamavano la chiesta di San Vincenzo ‘o Munacone. Nella piazza antistante la chiesa, da tanti anni, si celebrava la serata finale canora della Festa del Monacone, a cui Totò, quando poteva, assisteva con grande piacere. La chiesa era tutta addobbata a lutto, sulla porta d’ingresso era stato sistemato un drappo di velluto rosso bordò e, all’interno, c’erano tantissimi ceri accesi e fiori di ogni tipo, sparsi ovunque, a profusione. Nella bara non c’era il corpo di Totò, c’era solo il suo spirito che aleggiava commosso e riconoscente sui presenti e sulla moltitudine di gente che era venuta a dargli l’ultimo saluto e ad omaggiarlo col suo affetto imperituro. Forse il funerale organizzato dal rione Sanità, accorato, commosso e degno di un Principe, nonostante la bara fosse vuota, fu quello preferito da Totò che, dopo tanti anni, ritrovò nel luogo a lui tanto caro, che l’aveva visto nascere e crescere con i suoi sogni e le sue speranze, tutto il calore e l’umanità del popolo napoletano. Ora, finalmente, era felice e in pace, sapeva che mai, negli anni a venire, si sarebbero dimenticati di lui.