Namastè cari lettori. Nella mia pratica clinica c’è sempre almeno un adolescente o un giovane adulto che chiede un primo colloquio per problemi di ansia o attacchi di panico. Una richiesta d’aiuto che la maggior parte delle volte cela, a mio avviso, la paura di diventare adulti. Paura di laurearsi, di assumersi delle responsabilità, di affacciarsi al mondo da soli. Come sappiamo il mondo in cui viviamo diventa sempre più complesso e molti giovani si sentono impreparati ad affrontare le sfide quotidiane così, se da una parte vorrebbero affrontarle, dall’altra ne hanno paura ritirandosi nella loro “zona comfort”, la famiglia. Ma cosa sono l’ansia o l’attacco di panico se non l’apoteosi dell’inibizione e del blocco?
Nella società post-moderna, la transizione alla condizione adulta si configura come un periodo che abbraccia all’incirca vent’anni della vita di un individuo: assistiamo infatti a un ingresso sempre più precoce nell’adolescenza (attorno agli 11-12 anni), a un prolungamento di questa (fino ai 19-20 anni) e alla costituzione di una nuova fase denominata post adolescenza o fase del giovane adulto (che si piò protrarre fino ai 35 anni).
Quello del giovane adulto è un fenomeno largamente diffuso in Europa. In particolare, in Italia, è caratterizzato da una prolungata co-residenza del giovane con i genitori. I figli in questo caso abbandonano la famiglia d’origine quasi esclusivamente in vista del matrimonio, che per altro viene continuamente posticipato, senza sperimentare un periodo di vita autonoma o di convivenza. Ciò che caratterizza questa nuova fase è il ritardo della comparsa sulla scesa di una nuova generazione.
La transizione alla vita adulta, sino a qualche decennio fa, coincideva con una fase familiare breve, la cosiddetta “fase di lancio dei figli” caratterizzata dalla presenza di una precisa sequenza: fine dell’iter formativo, posizione lavorativa stabile, matrimonio, con l’impossibilità di ritornare allo stadio precedente.
Oggi invece la transizione è divenuta una lunga fase moratoria caratterizzata da una notevole estensione temporale dominata sia da ricchezza di possibilità che da incertezza. Se da una parte i giovani d’oggi devono rispondere, contemporaneamente, a molteplici richieste e sollecitazioni che gli provengono dai diversi ambiti di vita a cui appartengono (famiglia, scuola, lavoro, tempo libero, gruppo dei pari e così via), dall’altra sono globalmente inseriti in una condizione incerta propria del sociale in cui gli è consentito un assai limitato esercizio di responsabilità e gestione del potere. E’ soprattutto l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro a essere caratterizzato da insicurezza e difficoltà. Sappiamo bene quanto siano scarse le opportunità di lavoro per i giovani d’oggi. Anche l’altro marcatore di passaggio, la costituzione di una famiglia, è segnata da incertezza per quanto riguarda il tempo della sua realizzazione. La decisione di sposarsi e di avere figli è infatti sempre più posticipata: i giovani desiderano avere tempo a disposizione per “sperimentare” diverse alternative e non vogliono prendere decisioni importanti “troppo presto” nella loro vita. In questo contesto di prolungamento della giovinezza e di marginalizzazione sociale dei giovani acquista maggiore salienza la famiglia d’origine. Oggi la famiglia, più che in passato, ha un ruolo centrale nella loro esistenza.
Il giovane adulto si costruisce entro le mura domestiche una “zona franca”, totalmente autonoma e privata. Egli può così godere dell’appoggio e della risorsa della famiglia d’origine senza particolari costrizioni. Di fronte ad un futuro incerto la famiglia d’origine rappresenta la sua fondamentale certezza. A partire da ciò egli può avventurarsi a piccoli passi nel sociale e fare esperienza controllata del mondo del lavoro che è al centro delle sue preoccupazioni. Allo stesso modo si affronta la decisione di fare famiglia. Il giovane si mette lentamente alla prova senza doversi fare carico in maniera completa dei vincoli e delle responsabilità che queste scelte implicano.
La transizione all’età adulta è così facilmente diluita in una progressiva estensione delle condizioni adolescenziali e non vista come momento in cui attuare il salto generazionale con le connesse responsabilità nel confronti del sociale e della nuova famiglia.
Dall’altra parte la famiglia accoglie incosciamente le richieste dei figli, mettendo in atto una protezione eccessiva a ciò che il mondo esterno può riservare. Il figlio, al centro dell’attenzione sociale, viene considerato come una creatura da proteggere nei suoi diritti, quasi estranea ai doveri, rischiando di diventare un elemento passivo, mentre i genitori e le loro capacità di confezionare un buon prodotto e non danneggiarlo diventano la misura del successo familiare. Ciò impedisce nei ragazzi lo sviluppo del senso di responsabilità e la possibilità di organizzarsi un futuro indipendente raggiungibile, seppur rischioso.
L’obiettivo della transizione consiste nel far raggiungere alla giovane generazione la piena responsabilità adulta. Essa si traduce nell’uscita dalla casa parentale, ossia nella strutturazione di un progetto di vita in cui siano previste una realizzazione professionale e l’impegno in una relazione affettiva stabile tesa alla costituzione di una nuova famiglia. Ciò ha il suo perno nel processo di differenziazione reciproca tra le generazioni. La differenziazione è un processo che coinvolge l’intero sistema familiare: differenziarsi vuol dire rispondere di sé, in termini di pensieri, emozioni e azioni, a partire dalla comune appartenenza alla storia familiare. Ciò che attraverso il distacco-separazione nasce è la capacità di autonomia nel senso proprio di capacità di distinguere tra sé e l’altro, di riflettere su di sé, di mettersi nei panni dell’altro, di rispondere di sé. E’ nell’esercizio di questa risposta che si forma l’identità di figlio e si sviluppa quella dei genitori. Il livello di differenziazione all’interno della famiglia gioca un ruolo molto importante sulla capacità della famiglia stessa di rispondere evolutivamente ai cambiamenti sociali e ambientali oltre che a quelli dei suoi membri.
I nostri ragazzi devono riconoscersi come simili nella responsabilità relativa ai pensieri, alle parole e alle azioni compite. In quanto genitori bisogna riconoscere i figli come soggetti responsabili e i figli devono riconoscere i loro genitori come persone che hanno assunto delle responsabilità. La responsabilità è la capacità di farsi domande e di cercare risposte, di affrontare il dubbio, di riconoscere l’errore, di sperare nel rapporto con l’altro al di là del dolore che può arrecare. Il compito-dono genitoriale è quello di fare un passo indietro e di lasciare spazio a chi ci succede. Si tratta della perdita di possesso relativamente alla cornice mentale garantita dalla dipendenza dei figli e dalla loro necessità di ricevere cura, il che offre a chi genere una forte rassicurazione sulla necessità della sua presenza, cioè sul valore di sé. Il sentimento della perdita di ciò che ci lasciamo alle spalle e di dolore per ciò che ci attende può così accompagnarsi a quello del piacere derivante dal pensiero che altri possono fare, in quanto a legami, come e forse meglio di noi.
Come genitori e adulti di riferimento possiamo e dobbiamo promuoverli come persone, come menti e corpi adulti.
In questa difficoltà di transizione, il lavoro dello psicoterapeuta è quello di aiutare il giovane adulto a differenziarsi dal nucleo familiare per superare quel blocco inibitorio che gli impedisce l’accesso alla vita adulta.
Bibliografia di riferimento
Il famigliare. Legami, simboli e transizioni di Scabini, Cigoli
Dott.ssa Dominique D’Ambrosi
Psicologa clinica - Psicoterapeuta sistemico relazionale
Esperta in psicodiagnostica e valutazione psicologica in ambito clinico e peritale
Riceve su appuntamento a Cava de’ Tirreni ed Eboli
www.psicologadambrosi.it – Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
Rubrica Namasté - curatrice Dott.ssa Marciano