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Sentirsi fragili e deboli: ecco perchè non bisogna aver paura di chiedere aiuto | Namastè

09 Aprile 2016 Author :  

L’uomo è un animale fortemente sociale. Ogni uomo ricerca i suoi simili, crea comunità dove ognuno è interdipendente dall’altro, eppure osserviamo che per molti è difficile chiedere aiuto! Considerando lo sviluppo dell’essere umano, c’è una fase in cui questa capacità è espressa nella sua pienezza, l’infanzia. Nei primi anni di vita, per istinto di sopravvivenza, i bambini riescono ad affidarsi agli adulti per ricevere protezione e cure necessarie alla crescita. Con gli anni, però l’uomo avverte maggiormente la necessità di creare una propria identità, e quindi differenziarsi dagli altri puntando alla propria autonomia. Questa fase legata all’autonomia personale è importante e fisiologica, poiché in essa l’uomo mette in pratica strategie utili per sopravvivere in mezzo ad altri, non più per mezzo di altri come nell’infanzia. Purtroppo, soprattutto nella cultura occidentale, con la crescita siamo sottoposti ad una serie innumerevole di regole e di assunti, non sempre scritti ereditati dai modello familiari e culturali di appartenenza, che condizionano profondamente le nostre scelte e i nostri comportamenti.

In molti di essi vi è ben radicata l’idea che aver bisogno degli altri sia sinonimo di inadeguatezza ed incapacità. Ecco l’ideale del “super-uomo”, colui che non ha bisogno di nessuno per andare avanti; colui che non si può fidare di nessuno.
Questo ideale si fonde benissimo con gli stereotipi e i preconcetti che giudicano coloro che mostrano le proprie fragilità come inferiori e diversi rispetto agli altri. Insomma la cultura occidentale programma gli esseri umani come tanti piccoli “Superman!”. Eppure sappiamo benissimo che la realtà è ben differente.
I modelli comportamentali, che ci vengono proposti durante la nostra crescita, non si basano tutti su regole vere e giuste, o meglio li accettiamo così come sono nella loro interezza, senza nemmeno provare a metterli in discussione e capire se indipendentemente da quanto la società possa ritenerli veri sono “realmente giusti” per noi. Regole del genere:
Se gli altri capiranno che non sei capace allora ti disprezzeranno;
Se vuoi che tutti ti rispettino allora non devi mai mostrare la tua debolezza;
Se vuoi ottenere qualcosa nella vita non dovrai mai essere dipendente dagli altri.
Mai mostrarsi Deboli!

Vi propongo l’esempio di C., sicuramente una situazione del genere sarà capitata a molti di voi:
C. vive un periodo di forte stress, a seguito del suo licenziamento, entrando in casa non ha trovato la cena pronta e litiga ferocemente con la moglie. La moglie era arrivata tardi da lavoro e non aveva avuto modo di far trovare la cena pronta per tempo.
C. in quel momento ha provato una rabbia immensa, e ha attaccato la moglie spaccando dei piatti e andando via di casa. A C. è stato insegnato che è l’uomo che porta avanti la famiglia e deve provvedere ai bisogni dei suoi cari, e questa sua condizione lo feriva profondamente, ma non voleva ammetterlo agli altri ne tantomeno a se stesso. Il matrimonio di C. ormai era alla fine, ma nonostante queste difficoltà rifiutava di essere aiutato.
Di esempi del genere ce ne sono molti e variegati, ma tutti alla stessa stregua ci dimostrano che pensare in maniera stereotipata influenza il nostro rapporto con gli altri, con il mondo e soprattutto con noi stessi. L’assunzione che crescere vuol dire non mostrare la propria fragilità è fallace.
Questa idea ci influenzando tanto da non farci rendere conto delle nostre difficoltà e di conseguenza ci impedisce di chiedere aiuto. Finché continueremo a vedere l’altro come un qualcuno pronto a giudicarci, non vedremo che l’aiuto da parte di un altro è un gancio emotivo molto importante, che ci sostiene aiutandoci ad identificare le nostre emozioni e le scelte migliori per noi, senza imporle nel rispetto della nostra natura.
L’altro diventa per noi come il faro nella notte che indica ai marinai il porto più sicuro. La sua sola vista rassicura, poi è scelta del marinaio voler attraccare o meno”. Nella mia pratica clinica ho potuto constatare quanto il dover sottostare all’ideale del super-uomo nascondesse la profonda sofferenza di non poter condividere con gli altri il proprio dolore e la propria fragilità, per paura di essere etichettati come sbagliati, diversi, incapaci.
Percepirsi fragili fa provare ansia, disagio, crea in il dubbio, il senso di inferiorità, la rabbia, tutte emozioni poco piacevoli. Si è pronti a tutto purché nessuno possa accorgersi di questo lato, si ha troppa paura e confusione. Il terrore nel mostrare questa parte di sé ha contribuito all’aumento dell’esercito di persone sofferenti che non riescono a condividere con gli altri la propria condizione. Ma la cosa che si teme più di tutto è non esser amati a causa della nostra fragilità. Al contrario, per liberarci e andare oltre dovremmo iniziare a capire che quando si chiede aiuto si da la possibilità a chi ci circonda di fare qualcosa per noi, e questo è segno d’amore. Riuscire ad andare oltre le nostre paure, iniziando ad amarsi un po’ in più avendo il coraggio di sfidare queste convinzioni, è un primo passo necessario per cambiare realmente la nostra vita.
In questo dovremmo prendere esempio dalla cultura orientale, che focalizza la sua filosofia sulla ricerca dell’equilibrio tra la parte debole e quella forte dell’animo umano. Prendiamo ad esempio il simbolo “Yin e Yang”, esso rappresenta due entità opposte e complementari che insieme formano una Totalità. Ognuna di queste parti ha bisogno dell’altra; ognuna delle parti è funzionale all’altra. Ogni aspetto della persona permette di radicarci nella nostra totalità, accogliendo in modo non giudicante i nostri limiti cosicché essi possano essere affrontati e infine ampliati. Si ha paura di ciò che non si conosce realmente, il non sapere genera confusione mentre la conoscenza crea soluzioni.

Ed è in questo scenario di accettazione consapevole e non giudicante di se stessi che porgo ad ognuno di voi un saluto speciale:
Namastè
Un saluto che spero possa stabilire una connessione genuina con tutti voi, che tocchi quelle parti del nostro io, che spesso nascondiamo.
Un saluto che va al di sopra delle aspettative costruite su regole non nostre.
Un saluto che spero possa essere per voi come la luce di quel faro.

Dott.ssa Raffaella Marciano

Psicologa e Psicoterapeuta Cognitiva

 

 

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