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"L’uomo del tempo", racconto di Sergio Di Girolamo

23 Giugno 2023 Author :  

L’uomo del tempo: da Ettore Majorana alla strage di Capaci. Racconto di Sergio Di Girolamo

E’ il 23 maggio del 1992, sono le quattro del mattino e da poco più di mezz’ora il mio amico Ettore è sparito. Ho circa dieci ore prima dell’evento che potrà cambiare la mia vita e quella di tante altre persone, ma adesso è il caso che vi racconti questa storia incredibile. Tutto è iniziato ieri pomeriggio. Mi chiamo Daniele e sono un grafico pubblicitario impiegato part time in un’agenzia di comunicazione con sede a Palermo. In tutto l’arco della mattina di lavoro non ero riuscito a creare nulla di interessante, la testa e le mani erano come scollegate, ero rimasto semplicemente a fissare lo schermo del pc per quattro ore come un ebete. La causa? La sera prima la mia ragazza mi aveva mollato: stai di continuo dietro a tutti quei computer e poi i video giochi e i fumetti, così non può più andare! Quelle erano state le sue ultime parole, prima di vedermi sbattuta in faccia la porta del suo appartamento.
Una volta uscito dal mio ufficio, quando da poco erano passate le tre del pomeriggio, percorrevo in auto le vie di Palermo diretto a casa.

Nella mia mente turbinavano ancora le lamentele della mia ex ed ero piuttosto confuso, persino un ubriaco in quel momento avrebbe avuto più autocontrollo. Quando imboccai una traversa di Via Notarbartolo, senza accorgermene, mi ritrovai un barbone stampato sul cofano. Il poveretto stava attraversando le strisce pedonali, ma io niente, tirai dritto e lo misi sotto. Il panico mi avvolse come i tentacoli di una piovra gigante piuttosto incazzata. Scesi subito dall’auto e, nonostante le mie gambe fossero fragili come fuscelli, mi avvicinai all’uomo. Era disteso per terra.
Grazie a Dio era cosciente. Mi guardò. Mi colpì subito l’espressione stupita sul suo volto, ma non per via di quello che era successo, c’era qualcos’altro, come se in quel momento quell’uomo avesse avuto una rivelazione, o gli forse apparsa la Madonna.
–Mi scusi, non volevo, tutto bene? – biascicai, tendendogli la mano.
Il barbone l’afferrò e lo aiutai ad alzarsi. Poi si guardò intorno e i suoi occhi si accesero ancora di più quando vide tre persone in camice bianco dall’altra parte della strada venire veloci verso di noi. Dicevano qualcosa che il rumore del traffico mi impedì di capire. Poi il barbone mi disse:
–Su, non perdiamo tempo, saliamo in macchina e andiamocene via, sbrigati!
Lì per lì non seppi cosa fare, chi era costui? Forse un de- linquente? Dovetti decidere in meno di un secondo e scelsi di fidarmi. Non so perché lo feci: forse fu per il tono della sua voce o perché in quegli occhi vidi qualcosa di buono. Ad ogni modo salimmo in macchina e fuggimmo via, allontanandoci dal capannello di gente che si era radunata in quell’angolo di strada e a cui, nel frattempo, si erano aggiunti gli uomini in camice bianco.
Dove andiamo? – chiesi, mentre imboccavo la via Libertà.
–Non ho una casa, so che è chiederti troppo ma se potes- simo andare dove abiti tu sarebbe meglio. Ti prego, fidati di me, poi ti spiegherò tutto – disse.
Come sapete la mia ragazza mi aveva lasciato la sera prima e quindi non c’era il rischio di trovarmela in casa. Quindi accettai la proposta. Lo portai nel mio bilocale al secondo piano di un edificio nei pressi di corso Calatafimi. Fatti gli ultimi gradini ed entrati in casa, l’uomo si tolse il cappotto e poi si presentò.
–Sono Ettore Majorana.
Il nome mi fu subito familiare.
–Questo nome non mi è nuovo – dissi, cercando di ricordare dove l’avevo sentito.
–Ah, ecco! Hai lo stesso nome di quel fisico scomparso misteriosamente agli inizi del secolo scorso, – esclamai come se avessi trovato la risposta a una domanda da un milione di euro.
L’uomo, che aveva dei folti capelli neri e una lunga barba, ma soprattutto quello sguardo penetrante e quel luccichio particolare negli occhi mi disse: – Sono io quell’Ettore Majo- rana.
Per poco non caddi dalla sedia. A quel punto pensai an- che che mi ero portato in casa un pazzo, magari anche omicida.
–So che cosa stai pensando. Ma ti prego, devi credermi. Quello che adesso ti racconterò sfida le leggi naturali della fi- sica conosciuta ma io, che della materia ho una certa conoscenza, sono andato al di là di queste leggi. Ora è importante che tu allarghi la tua visione della realtà. Ma prima ti chiedo due cose: intanto come ti chiami e poi un bel caffè, se non è troppo disturbo – disse, sorridendomi.
Cosa potevo fare? In fondo quell’uomo poteva serbare chissà quali segreti ma ero convinto che non fosse un assassino; i suoi modi garbati e gentili e quel sorriso così buono me lo dimostravano in modo innegabile. Al massimo era un bonaccione con la voglia di mettersi in mostra.
Gli dissi il mio nome e poi feci il caffè e lì, seduti uno di fronte all’altro, mi raccontò una storia incredibile.
–Non so se conosci le vicende che mi riguardano – disse, bevendo un sorso del suo caffè. Ammisi che non ricordavo be- ne come era andata a finire tutta la sua storia, l’unica cosa che sapevo su Majorana era che fosse sparito senza lasciare traccia e che anni dopo, per volere dello scienziato Zichichi, gli era stato dedicato un centro di ricerca nella città di Erice.

–Certo, capisco che spesso cose e persone finiscono nel dimenticatoio. In fondo è quello che ho sempre desiderato: es- sere dimenticato.
Anche in vita ho cercato di non mettermi troppo in mostra. So che sembra strano: di solito la gente tende a peccare di protagonismo, vuole essere al centro dell’attenzione. Io no, e sai perché? Perché dentro la mia testa il Padre Eterno ha messo molta più materia grigia che in altri uomini, al punto che tutte le mie conoscenze, tutte le mie scoperte facevano gola
agli altri studiosi, ma soprattutto a chi vo- leva fare del male alla gente.
A quel tempo, mentre io studiavo i misteri del mondo, eravamo alle soglie della seconda guerra mondiale. Purtroppo la storia umana ci insegna che le intelligenze superiori di uomini straordinari vengono utilizzate per fare cose cattive, come le armi ad esempio, basti pensare a Leonardo Da Vinci. Io sapevo come creare la bomba nucleare. L’avevo scoperto molti anni prima degli altri fisici anche se, purtroppo, in seguito, ci arrivarono lo stesso, e con le tristi conseguenze che conosciamo. Ma io non volevo essere coinvolto in quelle stragi di massa, non volevo far parte di una guerra inutile, costruita sui deliri di un folle. Per questo decisi di sparire.
Negli anni seguenti molti hanno consumato fiumi di inchiostro per scrivere diverse ipotesi sulla mia scomparsa, su dove mi trovassi, qualcuno parlò anche di suicidio, ma non ti annoierò con queste storie e ti dirò la verità. Io sono svanito nel vero senso della parola. Ho lasciato il 1938 per andare avanti nel futuro, precisamente nel 1993.
L’espressione di spaesamento sul mio viso spinse Ettore Majorana a fare una pausa.
–Si, Daniele, ti capisco. Stai pensando che sono pazzo. Ma ti prego di continuare a seguire il mio racconto perché è di vitale importanza. E poi ora so che tu hai una parte attiva in tutto questo.
–Cosa? Ma che dici? Io non so nulla di tutte queste sto- rie. Viaggi nel tempo? Sono cose da fumetti o film di fanta- scienza: cosa c’entro io? – cercai di giustificarmi.
Ettore fece una pausa e mi chiese un bicchiere d’acqua. Poi domandò se avessi una sigaretta. Stavo cercando di smette- re ma avevo
ancora un pacchetto in casa così accontentai an- che quella richiesta.
Dopo egli mi tranquillizzò.
–Ascolta il resto della storia, Daniele, e non ti preoccupare, non ti obbligherò a compiere nulla che non sia tu a decidere di fare.
Continuò a parlare tra una boccata di fumo e l’altra.
–Oltre agli studi sui protoni e i neutroni, e sulla fissione nucleare, ai tempi in cui frequentavo gli scienziati di via Panisperna con a capo il mio amico Enrico Fermi, i miei interessi si erano spostati verso le scoperte di Albert Einstein e le sue teorie sulla velocità della luce. Per fartela breve, e per non annoiarti con delle formule di cui non capiresti nulla, avevo scoperto che c’era una particella elementare, una versione massiccia dell’elettrone, chiamata successivamente muone, che ha una carica negativa pari alla metà di uno. Esse si producono quando le particelle ad alta energia, come i raggi cosmici, colpiscono gli atomi dell’atmosfera
terrestre. Ebbene, su quella particella e su alcune dichiarazioni rivoluzionarie di Einstein ho ipotizzato la possibilità di viaggiare nel tempo. Ho capito che sintetizzando il muone, avrei potuto ottenere un prodotto tale da farmi viaggiare alla velocità della luce e quindi di attraversare lo spazio tempo. Tutti questi studi e queste scoperte le tenevo per me. Per natura sono sempre stato una persona timida, negli anni romani e poi in quelli che passai a Napoli, dovetti darlo a vedere ancora di più, proprio
perché mi dedicavo giorno e notte a quegli strani argomenti. Questa condizione esistenziale durò fino a quando non creai queste.
Ettore infilò una mano nella tasca interna del cappotto e mi fece vedere una busta trasparente con dentro delle pillole rosse.
–Vedi, Daniele, in queste pillole c’è un alto concentrato di muone e di altri elementi chimici che non sto qui a elencarti. Ma queste, una volta ingerite, ti permettono di separare la materia corporea e di ricomporla in un altro posto, è quello che feci nel
1938. Ricordo ancora quella notte di tempesta in quel- la pensione vicino al porto di Palermo. Le ingerii così, senza pensare alle conseguenze.
Certo, potevo sbagliarmi, ma ero troppo curioso. Funzionò. Mi ritrovai direttamente nel 1993. Quasi a un anno di distanza da oggi.
–Mi sfuggono alcune cosa – dissi fissando quelle portentose pillole:
– Come si decide dove andare? E di quanti anni in avanti ci si sposta?
–Anche questo lo lasciai un po’ al caso. Sono convinto che dipenda dalla quantità di pillole ingerite. Il posto, invece, coincide con quello in cui ti trovi al momento della partenza, solo spostato nel futuro, o nel passato.
–Nel passato?
–Certo, anche perché come ti ho detto sono stato nel 1993 e adesso mi trovo qui, nel 1992. Vengo dal futuro, all’inizio sono partito dal passato verso il futuro ma poi sono tornato indietro.
Ero allibito, ma anche affascinato da quella storia e in cuor mio speravo che non fosse tutto falso, perché finalmente quelle storie incredibili che leggevo nei fumetti trovavano un corrispettivo nella realtà. Dovevo saperne di più, continuai a fargli delle domande.
– Perché sei tornato qui, non è bello il 1993? Non dirmi che succede qualcosa di brutto, non so, la fine del mondo…
–No, non proprio questo, ma per la nostra isola e per l’Italia intera le cose si metteranno male: è per questo che sono tornato, per impedire che questo accada.
–Di cosa parli?
–Ti dicono nulla i nomi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?
Certo che li conoscevo: erano i paladini della giustizia, uomini che, come in un romanzo epico, incarnavano gli eroi del bene che lottavano contro il male, un male incarnato dalla Mafia e dal boss di Cosa Nostra Salvatore Riina. Fu quello che, più o meno, gli dissi.
Ettore Majorana spense la sigaretta, si fece serio e mi fissò.
–Domani il magistrato Giovanni Falcone verrà ucciso.
Lo faranno saltare in aria con tutta la sua scorta, morirà anche sua moglie. Mi si bloccò il respiro. Iniziai a sudare.
–Si, hai ragione, è una cosa tremenda. Fra un anno, con la loro morte, Giovanni Falcone e il suo stretto collaboratore,
Paolo Borsellino, come hai detto bene tu, diverranno degli eroi, simboli nazionali di lotta alla mafia, ma questo cancro non cesserà di esistere, anzi si riorganizzerà e si farà più forte, strisciando silenzioso in un sistema corrotto su larga scala: ci saranno altri omicidi, uccideranno persino un prete. Sarà la morte della Sicilia e dell’Italia intera. Se questi due
grandi uomini non incontrassero questo triste destino, forse le cose potrebbero cambiare. Nel 1993 ho avuto tempo di documentarmi: i due magistrati stanno facendo un lavoro di bonifica della mafia veramente imponente, il loro senso di giustizia è qualcosa di raro.
–Quindi anche Paolo Borsellino perderà la vita?
–Purtroppo si, e solo pochi giorni dopo il suo amico Giovanni. Ettore Majorana mise la sua mano sul mio braccio.
–Adesso entri in gioco tu, Daniele. Non ti ho incontrato per caso, ne sono sicuro, è come qualcosa di scritto.
–Spiegati meglio, – dissi.
–Devi impedire che Giovanni Falcone venga ucciso. Noi possiamo cambiare la storia.
Quelle parole mi colpirono come un macigno in pieno volto. Come potevo accettare di fare una cosa del genere? Tut- to partiva da un’ipotesi assurda. E se fosse stato tutto falso?
Ettore lesse nei miei occhi tutte quelle perplessità. Poi tirò fuori dalla tasca dei pantaloni dei ritagli di vari quotidiani nazionali datati 1993. Tutti riportavano le tragiche notizie di cui mi aveva parlato. Prima
sarebbe morto Falcone, poi Borselli- no. Entrambi vittime di attentati dinamitardi. A un certo punto mi venne da chiedergli una cosa; una domanda che si era da poco formata nella mia mente.
–Perché sei tornato indietro fino al 1992 per cambiare il corso di questa storia? Potevi, per esempio, andare ancora più indietro, magari per cercare di fermare Hitler, o addirittura salvare Gesù!
–Hai visto le pillole, Daniele? Come ti ho accennato prima credo che la quantità determini la misura del mio spo- stamento nel tempo. Con quelle in mio possesso non posso an- dare così lontano. Questa mattina ne ho ingerite una quantità tale che, se i calcoli sono esatti, riuscirò a tornare più o meno nel mio tempo. D'altronde non posso aspettare, non
ho scelta.
Fece una pausa, girandosi verso l’unica finestra della cucina, dalla quale si godeva di un bel panorama di piazza Indipenza.
–Sto perdendo contatto con la realtà. Non posso stare troppo tempo in un posto senza prendere le pillole. Se, per esempio, ingerisco queste – disse sollevando il pacchetto – forse riuscirei a rimanere qui qualche ora in più ma poi non potrei più andare via e le conseguenze sarebbero disastrose. Invece ormai il conto alla rovescia è iniziato. Credo che da qui a stanotte io non ci sarò più e il mio corpo si dissolverà come pulviscolo nell’aria. Per fortuna sono sfuggito a quei dottori, quelli che hai visto
anche tu. Fece una pausa, mi chiese un’altra sigaretta che gli passai.
– Vedi, quando si arriva in una nuova realtà spazio temporale, il viaggio determina uno sfasamento mentale. Avevo temporaneamente
perso la memoria. Per due settimane mi hanno tenuto in un reparto per malati mentali. Farneticavo cose senza senso, probabilmente scrivevo formule chimiche o chissà cos’altro. Fortuna che non avevo con me i documenti d’identità, e che non hanno trovato le pillole, altrimenti pensa cosa sarebbe successo se avessero capito chi fossi. Così, fino a oggi, sono stato un senza tetto privo d’identità, fino a questa mattina, quando mi hai investito con la tua auto. In quell’istante mi si è riaperta la mente e sono
riaffiorati tutti i ricordi. Ora però il tempo stringe. Dobbiamo discutere di come impedirai la morte di Giovanni Falcone in quel maledetto tratto di autostrada in cui ci sarà l’esplosione. Io ho un piano.
Ettore è sparito. Chissà in quale coordinata spazio temporale si trova adesso. Spero con tutto il cuore che abbia fatto bene i suoi calcoli e sia tornato a casa, ma sono convinto di si, quell’uomo è genio. Ci siamo
salutati bevendo dell’ottimo Marsala, l’abbiamo fatto brindando alla riuscita della mia ope- razione. Mi ha spiegato il piano. Nonostante i rischi alla fine ho accettato. Mi sono fidato di Ettore Majorana, un uomo giusto che sta dalla parte della giustizia, e io credo nella giustizia. Mancano ormai poche ore. Forse dormirò un poco, poi anch’io farò la mia parte in
tutta questa storia incredibile.

Dal Corriere della Sera del 24 maggio 1992
Sono passate ventiquattro ore e il Giudice Falcone, sua moglie e tutta la sua scorta sono ancora con noi. Poteva non essere così, poteva esserci una strage.

L’ennesimo attacco di Cosa Nostra allo Stato è stato sventato. Abbiamo un eroe, si chiama Daniele Maltese, grafico presso un’agenzia pubblicitaria di Palermo. Maltese ha rischiato la sua vita per salvare quel- la di tante persone. Il suo gesto coraggioso, e una serie di eventi fortunati, hanno impedito che fosse consumata una strage atroce.
Da quello che ha dichiarato Maltese, egli è riuscito a penetrare nella pista di atterraggio dell’aeroporto di Punta Raisi. Quando l’aereo privato che trasportava il magistrato Falcone sua moglie e la scorta, partito da Roma un’ora prima, è atterrato, si è fatto avanti, mani alzate e con un grosso cartello appeso al corpo con su scritto queste testuali parole: NON VOGLIO FARE DEL MALE, C’E’ UNA BOMBA IN UN CONDOTTO NEI PRESSI DELLO SVINCOLO DI CAPACI. VOGLIONO UCCIDERE IL GIUDICE FALCONE. Maltese non parlò, non si mosse, evitando così di innervosire i membri della scorta. Fatti gli accertamenti e appurato che era tutto vero, le forze
dell’ordine lo hanno prelevato e portato in questura per una deposizione completa dei fatti e per scoprire come egli sapesse della bomba. Attualmente non abbiamo ulteriori particolari sulla vicenda, aspettiamo che il capo della polizia rilasci delle dichiara
zioni, ma per noi una cosa è innegabile: il signor Maltese è un eroe nazionale.

© Sergio Di Girolamo

Chi è Sergio Di Girolamo

Sergio Di Girolamo, nato nel 1977 a Marsala, laureato in storia dell'arte con una tesi su David Lynch, è artista poliedrico: pittore, grafico digitale e web designer, è autore di narrativa fantahorror (suoi racconti sono pubblicati in edizioni cartacee e digitali). Da sempre appassionato di cinema, gira cortometraggi e videoclip musicali con i quali ha partecipato a diversi concorsi cinematografici. E’ autore e curatore del sito sul genere fantahorror www.thefear.it.
Il racconto “L’uomo del tempo” è pubblicato nell’antologia “Racconti siciliani” vol.1 edita dalla Historica edizioni nel 2020.
L’uomo del tempo è un racconto ambientato in Sicilia che nelle mie intenzioni intende tentare di svelare, in modo singolare e alternativo, il mistero che aleggia dietro la scomparsa di un celebre personaggio della cultura italiana di inizio secolo scorso ipotizzando, nello stesso tempo, una missione ai limiti dell’impossibile che dovrà compiere insieme al protagonista della storia.

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