"Sarno è un tesoro". Il popolo che ha originato la denominazione della Valle del Sarno
SARNO È UN TESORO
(Ai Sarnesi, il popolo che ha originato la denominazione della “Valle del Sarno”,
dove insiste anche la mia antica terra, quella “de’ Pagani”)
Gerardo Sinatore, 2024
LUOGHI E ANTICHE TRADIZIONI
A me Sarno piace molto. Con la sua propria e singolare lingua locale, è uno dei paesi più caratteristici e suggestivi del territorio: budelli, come vicolo Biasivoccola, che attraversano il cuore delle cortine incoronate da portali in tufo grigio di Fossa Lupara (come quello di Palazzo Capua) dei quali, ce ne sono anche di giganteschi che superano i cinque metri di altezza (ce n’è uno in via Acquarosa, che è del 1715); rivoli e sorgenti gelide e trasparenti; piccoli ponti dai quali si ode il canto delle acque, il contrappunto dei cigni e lo starnazzare delle oche; e poi, mulini, grotte invisibili, poggi fortificati e fertili pianure, montagne misteriose dove circolano leggende di streghe, di nascondigli di eretici e di briganti e dove all’alba del Venerdì Santo, vi si inerpicano i Paputi (paputo = vecchio, saggio) incappucciati che recano sulle spalle croci di legno per raggiungere, in processione, l’antico borgo di Terravecchia sul Saretto (o Sarino) sino alla chiesa che, nel 1200, al ritorno dei Templari, fu dedicata a Maria Maddalena. Sarno ha anche un Museo Nazionale Archeologico, due stazioni ferroviarie, due teatri, una pista internazionale di karting e una Storia di cui esserne fieri, come lo sono anche io e tutti coloro che sono legati alla cultura della Valle del Sarno.
Però, il luogo che più amo di Sarno, è quello d’intorno alla Stazione delle Ferrovie di Stato, poiché è tra i più intatti. È un luogo incantevole e fatato, con relitti medievali di carceri, templi e fortificazioni, e si estende sino alla Foce, dove c’è una chiesa nata da un preesistente tempio sotterraneo probabilmente dedicato all’Arcangelo Michele. Il Principe delle Milizie Celesti oltre ad essere il protettore della Città lo è anche dell’intera Valle avendo dato il suo nome alla vetta che la sovrasta. Anche a Pagani, presso la Torretta, c’è una piccola grotta a lui dedicata oggi impenetrabile e lo stesso Alfonso Maria de’ Liguori gli dedicò la nostra bella Basilica.
La chiesa, è il Santuario di Santa Maria la Foce, di remota origine, che ospitò anche fra’ Guglielmo da Vercelli, abate e fondatore del Santuario di Montevergine. A proposito di “Foce” anche ad essa è legata una storia. Nel 993, a sette anni dall’incombente fine del mondo dell’anno 1000, si diceva che tra le acque gelide del fiume Sarno fosse stato ucciso un serpente[1] così grande da inghiottire uomini ed animali. Sul mito di Isidoro di Siviglia, si disse che era il Basilisco, ovvero il re dei serpenti. Il serpente con il diadema. Il diadema è rappresentato da una macchia bianca sulla testa. Il Basilisco, come Medusa, una delle tre Gorgoni, aveva il potere di pietrificare con uno sguardo chiunque lo fissasse. Da questo re dei serpenti, il fiume prese il nome di “Dragonteo” o “Dragone” e il termine “Foce” deriverebbe dalle sue “fauci”.
Attaccata alla chiesa di Santa Maria, c’è la grotta-galleria; si dice anche che, quando il generale cristiano Narsete combatté i Goti, sulle opposte ripe del Sarno apparve, ad alcune donne che attingevano l’acqua per fare la colata (il bucato), la Madonna col Bambino sotto l’ottava arcata, esattamente al centro delle quindici sorgenti di Foce. Pertanto, fino a pochi anni fa, la notte del 14 agosto, c’era l’usanza (che andrebbe nuovamente promossa) di recarvisi a piedi in pellegrinaggio, cantando e danzando al ritmo delle tammorre (tamburi a cornice). Tradizione vuole, che qualche secolo prima, una schiera di pellegrini partisse anche dal più lontano Ponte delle Figliole, un esempio di innovativa architettura borbonica di legno e ferro costruito sul confine tra Castellammare e Pompei. Il ponte, a guardia delle testate, recava quattro bellissime sculture di Sirene (cfr. “Pentamerone Sarnese”) in ghisa, chiamate affettuosamente e con la considerazione di tutti i Sarnesi, le Figliole.
I SARNESI, TRA NOBILTA’ ED ECCELLENZE
Sarno è stata Contea dall’anno 970 circa, con oltre 40 Conti appartenenti alle famiglie più influenti d’Italia, come quelle degli Orsini, dei Colonna, dei Barberini e dei Medici d’Ottaviano, e poi fu Ducato con 13 Duchi che si sono susseguiti sino alla fine dell’800 tenendo Sarno sempre degna di attenzione, in un modo o nell’altro. Sarno ha avuto anche una Diocesi propria, carceri e tribunali, civili ed ecclesiastici. Tra gli uomini eccellenti di Sarno o ad essa legati, figurano Filosofi, come Lucrezio e Giovan Vincenzo (del Colle) detto “il Sarnese”, maestro di Giordano Bruno; Letterati e Intellettuali, come Bruto Fabricatore (che fu anche deputato del primo Parlamento italiano), Franco Salerno (anche antropologo, giornalista al quale gli è stato conferito per ben due volte il “Premio alla Cultura” della Presidenza del Consiglio dei Ministri oltre che citato dall’Enciclopedia Treccani), Alfredo Carrella (autore del “Pentamerone Sarnese”, ovvero 62 cunti registrati sul campo dalla viva voce della gente di Episcopio), Lucia Annunziata, giornalista e già presidente RAI, Luigi De Lise, drammaturgo, Franco Pastore, saggista e drammaturgo, Adolfo Genise, poeta ed autore, Carmine Pagano, attore teatrale, drammaturgo, regista e direttore artistico del piccolo “Teatro Franz Muller”; Storici, come Gaetano Milone e Giuseppe Centonze (storico del fiume Sarno); Giuristi, come Giovanni Abignente; Artisti, come il regista italo-americano Abel Ferrara, la conduttrice televisiva e già “Miss Italia” Roberta Capua, gli scultori e pittori Giovanni Battista Amendola, Ernesto Terlizzi e Ugo Cordasco, la soprano Gilda Fiume, i musicisti Pericle Odierna e Raffaele Vincenti, il cantore e musicista delle tradizioni popolari della Valle del Sarno Ugo Maiorano, la “cantattrice” Gemma Annunziata, l’attore di varietà Luigi Giurunda, in arte “Franz Muller”, fondatore del piccolo teatro locale e il cantante Manù Squillante; Scienziati, come Vincenzo De Colibus; Soldati valorosi, come Gualtieri di Brienne Principe di Taranto, Francesco Coppola Conte di Sarno e protagonista della “Congiura dei Baroni”, Mariano Abignente, soldato della Disfida di Barletta; Politici e ideologi di grande caratura, come Giovanni Amendola e Filippo Abignente (già vicepresidente della Camera). Tutt’ora, ci sono validissimi professionisti (a qualcuno devo molto, come al dott. Parziale del Centro Diagnostico per aver letteralmente salvato mia moglie dopo tante indagini diagnostiche fatte nei centri di eccellenza di Napoli e Salerno …), artigiani, coltivatori, imprenditori e uomini d’arte contemporanei che quotidianamente contribuiscono a dare valore a questa Città con il loro operato. Appare chiaro che i personaggi summenzionati non sono tutti sarnesi di sangue ma hanno avuto o hanno ancora importanti legami con questa terra (Roberta Capua, Franco Pastore, Giuseppe Centonze, Ernesto Terlizzi, Luigi Giurunda e Carmine Pagano).
SARNO FELIX, L’EMBLEMA DELLA FERTILITÀ
Ai Sarnesi non manca nulla, c’è soltanto da “riprendere”, recuperare, promuovere e potenziare ciò che la Città possiede e ha posseduto; aveva una vasta gamma di pregevoli e rare colture di arbusti fluviali tessili e a intreccio (tipha, asfodelo, canna); gelsi dolcissimi (detti “sarnesi”) e polposi, le cui foglie, leccornia per i bachi da seta, erano rinomate già nell’anno 1000 in tutto il mondo tessile, tanto da attrarre anche molti secoli dopo molti stranieri ad investirvi, come i Turner, i Glarner, i Franchomme, e gli ebrei Buchy e Stangmann che adottarono come marchio la “stella a cinque punte” e la denominazione “Filatura Marca Stella” in data 11 ottobre 1897. I gelsi del Sarno diedero origine, nel Medioevo, alla migliore bachicoltura e i pregiati filati di seta, venivano lavorati esclusivamente dagli ebrei amalfitani ed esportati nel Vicino Oriente attraverso Malta. La miglior produzione del rinomato pomodoro San Marzano nasceva a Sarno così quella del finocchio tondo detto per l’appunto “di Sarno”, del peperone “friariello” dolce, del cavolo, del cetriolo, della lattuga “Signorella”, del tabacco, del nocciolo, del mandorlo e della spelta (che è una specie di orzo), della fava, del loto ed infine del prelibato quanto rinomato cipollotto le cui apprezzate qualità sono dovute esplicitamente alle singolari proprietà del fiume Sarno. Ritengo che la denominazione “Cipollotto nocerino” non sia etica in quanto è un prodotto che si coltiva nell’intera Valle del Sarno e sarebbe stato molto più appropriato denominarlo “Cipollotto della Valle del Sarno”. A Sarno, persino le pietre sono eccellenti, come quelle dette “sarnesi”, di calcare, e quelle di “tufo grigio” di Fossa Lupara con il quale sono stati costruiti i teatri dell’antica Pompei.
IL DIO-FIUME SARNO E LE SUE ACQUE PRODIGIOSE
Queste acque, molto rinomate nell’antichità, nel lungo corso del fiume a tratti appaiono bianche come il latte, in altri, presentano delle venature rosse che affiorano dalle profondità, e nei pressi delle bocche si mostrano cristalline. Se si immerge un velo in uno di questi tratti, quando si asciuga diventa inamidato, in altri, se ci si tuffa, la pelle diventa levigata come il marmo statuario. Per tali motivi, gli antichi erano fermamente convinti dei prodigi di queste acque e, quindi, della sacralità del fiume. A proposito delle “venature rosse” succitate, le cronache del 918 riportano che il giorno di Pentecoste, che cadde il 24 maggio, per tre giorni consecutivi il fiume si tinse di rosso sangue (da qui, presumibilmente la dedicazione di via “Acqua Rossa”), creando panico e pentimenti.
Oggi se ne può soltanto sperare una sua profonda bonifica. Delle sue virtù taumaturgiche (terapeutiche) c’è un’antica e soddisfacente produzione letteraria che va da Quinto Aurelio Simmaco a Galeno, da Cassiodoro a Vibo Sequestro. Queste acque furono portate a Pompei con un canale per animare le fontane della città e fornire le domus di acqua calda e fredda attraverso un sistema di cunicoli sotterranei e cisterne. Molti secoli dopo, all’incirca nel 1600, il Conte di Sarno, Muzio Tuttavilla, fece passare l’acquedotto sotto il tempio di Iside conducendolo sino a Torre Annunziata dopo che Nerone ne aveva fatto costruire uno per portarle a Miseno e a Baia.
IL FIUME, I SUOI MITI E I SUOI POETI
Del fiume, Gaio Svetonio Tranquillo ne evidenziò la sua magia quando narrò di un Epidio Nuncionio che precipitò nella fonte del fiume e riapparve poco dopo con le corna, e fu subito annoverato tra gli Dei. Dal Sarno, prende il nome anche la ninfa Sarnitis, l’implacabile dea guerriera, metafora della ribellione dei popoli indigeni verso gli estranei dominatori. Il dio-fiume, che a tratti era navigabile (oggi solo con i caratteristici lontri (imbarcazioni a fondo piatto, dal latino linter = zattera), secondo Strabone, ha ispirato opere d’arte, leggende, egloghe, canti e spicilegi ed è stato cantato da poeti massimi come Virgilio, Lucano e Jacopo Sannazzaro, oltre ad aver battezzato l’intera Valle che irriga dandole il suo nome.
LE MEMORABILI BATTAGLIE SUL FIUME SARNO
Questo rinomato fiume, è stato anche teatro di battaglie memorabili come quella dei saccheggiatori romani che, comandati da Publio Cornelio intorno alla metà del IV sec. a.C., ebbero la peggio quando tentarono di depredare la campagna sarnese; quella del 340 a.C., quando si scontrarono Romani e Latini guidati rispettivamente dai consoli Tito Manlio Torquato e P. Decio Mure il quale si immolò per il suo popolo; quella del 216 a.C., di Annibale; quella di Gaio Aponio (Papio) Mutilo nel 90 a.C.-89 a.C. che, a capo delle genti della Valle del Sarno, si contrappose ai socii navales romani; quella di Spartaco, alla quale si affiancò gran parte della gente della Valle, contro Publio Sittio e Lucio Cossinio il quale cadde presso le Saline d’Ercole alla foce del Sarno; quella dell’ultimo re dei Goti, Theja, sconfitto da Narsete; quella del IX secolo condotta dal Duca di Napoli; quella del 1134 di Ruggero il Normanno; quella tra Ferrante I d’Aragona e Giovanni d’Angiò …
Sarno, che è stata anche la città della Valle preferita da Re Alfonso I d’Aragona, vide anche il Conte di Sarno, Francesco Coppola, protagonista nel 1485 di una congiura filo-angioina ai danni di re Ferrante d’Aragona insieme al principe di Salerno (Antonello Sanseverino), il principe di Bisignano (Girolamo Sanseverino), il principe di Altamura (Pirro Del Balzo), il duca di Melfi (Giovanni Caracciolo) e il segretario particolare del re Antonello Petrucci con i suoi figli.
I PRODOTTI DEL FIUME
Se fossi un sindaco tenterei, dopo una seria bonifica, addirittura di imbottigliare l’acqua del Sarno e proporla tra quelle più eccellenti (di nicchia) avvalendomi delle sue proprietà benefiche e della sua grande Storia. Queste acque costituiscono una grandissima risorsa anche per gli allevamenti, per le colture agricole e per la pesca. A proposito, chi non ricorda le sue pregiate anguille? E le rane? Queste ultime venivano catturate per farne brodo per i bambini poiché erano ricche di vitamina B1, vitamina PP, fosforo e ferro.
L’ANTICO STEMMA
Mi piace ricordare che lo stemma antico della Città raffigura un cavallo alato con testa di aquila (con 2 zampe d’aquila e 2 di cavallo) che poggia 3 zampe su 3 delle 4 alture sarnesi dalle quali sgorgano 3 sorgenti mentre la 4a zampa, rapace, tiene avvinta una testa di capro negli artigli. Questo animale ibrido è assimilabile a Pegaso, l’unico animale mitologico benefico della serie ibrida (tra l’ippocampo, il capricorno e il drago) mentre il capro, rappresenterebbe il male (ed è un’antica simbologia semita) ovvero gli antichi popoli occupanti. L’intera simbologia racconterebbe che Sarno, con una “vista” (senno) e con una rapacità aquilina aggiunte alla forza della libertà di Pegaso, si è saputa sempre affrancare dal male incombente. Il “male” è rappresentato da chi vuole sottometterla. Per comprendere la Storia di Sarno, e quindi la sintesi rappresentata dal suo emblema, va ricordato che il termine “Saro/Sarno” deriverebbe da “saron”, che significa “campagna”, “pianura”, ed era la denominazione di molti fertili paesaggi della Giudea ai tempi del profeta Isaia, inoltre, che “Sarug”, era il nome del bisavolo di Abramo e che i Sarrasti, popolo semita, infiltrandosi a ondate come erano soliti fare, occuparono il territorio dell’intera Valle per secoli (vedi sotto: la storia delle origini, in breve). Sul motto dello stemma c’era scritto: “Sarno, popolo dei Sarrasti e delle genti che il Sarno irriga”. Questo motto fu mutuato da Virgilio e voleva significare che esisteva oltre all’occupatore popolo dei Sarrasti, anche quello delle “genti che il Sarno irriga”, cioè il popolo originario (autoctono), secondo i miei ultimi studi in corso di pubblicazione (nel volume “Pagani. Nomen omen”).
Pertanto si può affermare, a ragione storica veduta, che l’origine di Sarno costituisce la principale ragione storica dell’esistenza dei centri dell’intera Valle.
LE ANTICHE ORIGINI DI SARNO
In breve, quella di Sarno è un’antica civiltà che precede anche quella del famigerato popolo semita dei Pelasgi-Sarrasti che qui si stabilì oltre un migliaio d’anni prima di Cristo, secondo le notizie di Conone di Samo riportate da Servio nei “Commentari dell’Eneide” di Virgilio e ribadite da Silio Italico. Questo arrivo di genti semite, che avrebbero dato il nome al fiume chiamandolo “Sarno” e al popolo chiamandolo “Sarrasto”, risalirebbe alla “Età del Bronzo Medio”.
Alcuni ritrovamenti archeologici rinvenuti a Sarno (oltre che a Longola, Pagani-Zeccagnuolo e Striano) sarebbero stati datati, in effetti, intorno al 1500 a.C.
Però, a parte questi dati, sarebbe logicamente impensabile, nonché del tutto inverosimile e direi anche “ingenuo” ipotizzare, per mancanza di “prove archeologiche”, che un territorio come la Valle del Sarno sia stato privo di una propria identità di civiltà per secoli e che aspettasse l’arrivo di popoli mediorientali per essere “connotato” e “organizzato” nonostante avesse un terreno fertilissimo irrigato da un fiume (persino a tratti navigabili, con accessi al mare di Pompei-Stabia), particolari pietre e minerali per l’edilizia, una ricca vegetazione terreste e fluviale, cacciagione, pesca, e fosse ben protetto da una corona di alture difensive con boschi e sorgenti. Questi elementi costituiscono, a mio avviso, già di per sé delle “prove” di possibilissima “vita comunitaria”. Inoltre, oltre ad essere stati individuati archeologicamente degli abitati riconducibili al Neolitico (IV millennio a.C.) e all’età del Bronzo Medio (XVI-XV secolo a.C.) proprio a Sarno, anche alle sue periferie (a Palma Campania e a Nola, località Croce del Papa) alcuni reperti provano presenze antropiche già nel periodo eneolitico, cioè del Bronzo antico. Infatti, il grande Amedeo Maiuri già nel 1937 aveva constatato che: “un più antico e primitivo nucleo di abitato formato dalle rudi popolazioni agricole della Valle del Sarno, dovette preesistere al suo vero e proprio sviluppo urbanistico, fino almeno dall’VIII secolo a. C.”.
(i dati e le notizie sono state tratte da “Indaco”, Punto Agro News Edizioni, Sarno, 2017, di G. Sinatore e dal volume in stampa di oltre 400 pagine e patrocinato dal Comune di Pagani con referee (scientifico), “Pagani. Nomen omen”, di G. Sinatore)
[1] Cfr. N. A. Siani, Memorie storico-critiche sullo stato fisico ed economico antico e moderno di Sarno e del suo circondario, tip. Soc. Filomatica, 1816, p. 172: Nel 993 che tra le acque del Sarno fu ucciso un serpente basilisco che si inghiottiva uomni ed animali essendo di estrema grandezza.
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